Il Volo del Drago * The flight of the Dragon

(Estratto dal romanzo Nebbie nella Brughiera)

La notizia che molto presto Monsieur de Bardac sarebbe ritornato, raggiunse velocemente anche i contadini che vivevano al limite del feudo.
Diversi di loro avevano inviato del vischio e rami d’abete per felicitarsi con Madame Francine della lieta novella. La donna, aiutata da Etienne e da alcune serve, aveva adornato con questi doni la roccaforte. Il profumo della resina d’abete aveva invaso ogni locale, portando un tocco personale a quelle anguste pietre.
Nella stagione fredda, per Francine era molto difficile trovare fiori o erbe con cui preparare delle composizioni ravvivanti e colorate. Era solitamente suo marito che le procurava agrumi provenienti dal regno di Sicilia; mandarini, arance e limoni dorati. Oltre ad essere deliziose bevande portavano un tocco di luce in assenza del sole tra le nebbie della Brughiera.
Francine utilizzava anche strane spezie molto aromatiche, oppure fiorellini profumatissimi di color azzurro cielo che giungevano dal sud del Paese. Altri fiori del continente potevano essere essiccati e, con pannocchie di granoturco e spighe di cereali, venivano usati per adornare i locali. Ciò fino alla festa della nascita di Immānûēl, come il profeta Isaia aveva chiamato il fanciullo la cui venuta voleva simboleggiare la liberazione del regno di Giuda dall’assalto d’Israele e della Siria. Nella profezia: il Messia, Gesù.
Padre Ubertus, aveva donato a Francine una pergamena con una miniatura dell’immagine di Gesù e la scritta in lingua greca Kyrios ed il tetragramma JHWH.
Francine serbava con grande cura questa pergamena che esponeva solo durante il mese più freddo dell’anno, in conco-mitanza con il periodo nel quale si supponeva fosse nato Gesù di Nazareth.
Lo stesso dipinto era stato fedelmente riprodotto sulla parete della cripta sotterranea, dove Francine si recava regolarmente per deporre offerte d’incenso e fiori.

Tra Francine e Clément si era creato un rapporto di reciproco rispetto. Evidentemente la donna era molto grata al Cavaliere per essersi adoperato, in ogni maniera, nella finalità di liberare suo marito.
Non sapeva per quale reale motivo il Cavaliere avesse dato a lei ed al piccolo Etienne questo grande appoggio. Inizialmente credeva che l’uomo volesse riscattare l’errore commesso, allorché lui ed i suoi uomini avevano seminato terrore nel feudo uccidendo molti innocenti.
In un secondo tempo intuì che c’era dell’altro. La cosa le dava gran timore, poiché anch’ella provava nel suo profondo una strana attrazione per questo gentiluomo. Benché fosse una moglie molto fedele e devota a suo marito, non poteva allontanare dal proprio cuore certe strane sensazioni, recondite e ben nascoste. Il solo sguardo di Clément, la poteva far arrossire, più volte aveva evitato di guardarlo negli occhi quando consumavano i loro pasti alla stessa mensa. Il Cavaliere se n’era sempre accorto e volutamente aveva preso cucchiaio e ciotola, per poi raggiungere qualche suo soldato all’esterno della roccaforte.
Clément aveva fatto dono a Francine di magnifici tessuti di broccato e seta, provenienti dall’Oriente. Lo stesso Cavaliere aveva raccontato ad Etienne, alla presenza della madre, di quei posti così meravigliosi dove la neve non giungeva mai ed il sole riscaldava sempre la terra con tanta generosità.
Altre volte aveva regalato al giovane della frutta essiccata dal sapore dolcissimo, merce che a lui era giunta tramite i corrieri di suo padre, il Marchese Federico de Claredon.
Arrivò il giorno nel quale si rese necessaria la partenza di Clément per Orléans. Suo padre si trovava già presso il Duca di Normandia, dovevano discutere in merito a questioni politiche… e non solo.
Clément era certo: sarebbero riusciti a far liberare Monsieur de Bardac. Quella sera, durante la cena, con un’angoscia che gli stritolava il cuore, il Cavaliere parlò a Francine: – Domattina parto per Orléans. C’è qualcosa che posso fare per te, oltre a ridare la libertà a tuo marito? – La donna, che questa volta non poté sfuggire il suo sguardo, rispose: – Grazie. Non ho parole per ringraziarti -. Poi, gettando uno sguardo fugace in direzione di Etienne, aggiunse: – Tornerai, Clément? –
A questa richiesta non attesa, Clément provò un nodo alla gola. Aveva percepito, nella voce della donna, un esile tono di supplica. Ma non doveva illudersi, non poteva nutrire speranze folli. Non gli era permesso pensare minimamente alla possibilità che il suo amore fosse corrisposto.
Era un soldato. Sarebbe dovuto ripartire per la Terra Santa non appena le controversie con il regno di Sicilia fossero state appianate. Non poteva dare nulla in cambio, nessuna garanzia, neppure a chi avesse provato sentimenti d’affetto per lui. Era un solitario, e tale doveva restare negli anni a venire.
Etienne, forse intuendo che qualcosa di strano stava prendendo forma nell’aria, pensò di lasciare la grande sala con la prima scusa che gli passò per la testa. – Mamma, devo vedere Renard Gris e Nasimus nella scuderia. Scusa, torno tra un po’ -.
Prima di uscire guardò sorridendo il Cavaliere, mentre si riaggiustava le ciocche di capelli corvini che gli erano finite sulla fronte e si metteva sulle spalle il lungo mantello. I suoi occhi vispi, esprimevano per lui ciò che non osava proferire a parole: “Dai, dille che le vuoi bene!”.
Clément fissò a lungo Francine. Parve un tempo interminabile, nel quale i cuori d’entrambi batterono con ripetuto vigore, quasi volessero esplodere nei loro corpi. L’aria sembrò farsi ancor più bruciante sulle guance della donna. Inutilmente cercò di porvi rimedio, passandosi sulle gote il dorso delle mani fredde.
Agli occhi di Clément, questo gesto la rese ancora più vulnerabile, dandogli l’occasione per prendere quelle due minuscole mani tra le sue.
– Francine. Perdonami per tanto ardire, ciò che sto per dirti certamente ti farà arrabbiare, ma non sono più in grado di tenere quest’angoscia dentro di me. Ti amo. Ti amo follemente come non ho mai amato nessun’altra donna in passato. Quest’amore si è insediato nel mio cuore e non mi dà pace, giorno e notte. Non penso che a te, ti rivedo in ogni cosa che guardo, in ogni cosa che tocco. Tutto mi parla di te, persino l’aria che respiro e l’acqua con la quale mi disseto. Non ho tre-gua, neppure durante il sonno, quando la mia mente mi trasporta su oceani infiniti ove ogni onda rispecchia i tuoi occhi. Mi giunge l’eco della tua voce, il suono cristallino delle tue risate… come un canto paradisiaco di angeli invisibili. Mi sento come impazzire, il mio cuore mi ha reso così infelice e triste. Questo mio amore! Un sentimento che non può e non deve essere ricambiato. Ma sopra ogni cosa, il mio onore e la fedeltà ai miei voti, m’impediscono di considerarti mia poiché tu sei la sposa di un altro uomo. E per questo, porto gran rispetto a te ed al tuo consorte. Riporterò qui tuo marito, Francine, dovessi pagare con la mia stessa vita. Ti chiedo solo di permettere almeno ai miei uomini di restare fino a quando saremo pronti per ripartire alla volta di Gerusalemme. Posso capire se, a causa di queste mie parole, in seguito non vorrai più concedermi di restare sulle vostre terre. Ho molto ardito, chiedo pertanto venia. Voglio comunque farti un giuramento: continuerò ad amarti, il mio spirito continuerà a cercarti anche nelle prossime vite… e non mi darò pace fino a quando non ti avrò ritrovata -.
Gli occhi della donna ora erano due pozze d’acqua profonda, in tumulto, rigonfie di dolore e rammarico. Non poté trattenersi, non riuscì a controllare quel gesto così spontaneo che nessuna parola avrebbe saputo meglio interpretare. Si gettò tra le braccia del Cavaliere, in silenzio, col viso arrossato dalla forte emozione e le guance rigate da lacrime che non potevano più essere contenute.
Il Cavaliere Clément la strinse a sé, con forza e tenerezza. Restarono in quell’abbraccio per qualche minuto, poi Francine finalmente spezzò il silenzio che si era fatto troppo pesante e disse: – Grazie, grazie per queste parole. Sei il primo uomo che abbia espresso così i suoi sentimenti. Anch’io ti attenderò, Clément. Ti attenderò dove gli spiriti si rincontrano, dove poi ci sarà permesso congiungerci al nostro Dio… oppure, oppure ti attenderò nell’oscurità di quella dimensione così temibile. Me ne ha parlato Padre Ubertus, tempo fa. Ma ora seguimi, penso che per te sia importante sapere anche qualcos’altro -.
Con grande sorpresa di Clément, Francine si allontanò da lui, prendendo dalla tavola un lume ed una candela. Poi la donna gli fece nuovamente cenno con la mano di seguirla. Arrivata alla parete dov’era appeso il grande arazzo raffigurante l’immenso drago, Francine gettò uno sguardo furtivo in direzione delle cucine e dell’entrata: non c’era più nessuno.
Clément la seguì, attraverso la piccola porticina, giù per la ripida scala, fino al corridoio che portava alla cripta ed al locale che aveva scoperto già qualche tempo prima, ed in un secondo tempo visitato in compagnia del monaco cistercense.
– Francine, sono già stato qui. Un paio di volte, mi ci ha portato anche Padre Ubertus che mi ha mostrato alcune cose -. Il viso meravigliato della donna, ora era una maschera pallida dalla quale traspariva stupore e paura. – Cosa sai allora? Se Pa-dre Ubertus si è già mostrato anche a te, non vi saranno altri segreti celati alla tua conoscenza! –
Francine lo stava evidentemente tentando, ma Clément le riprese le mani dicendo: – I segreti custoditi da Padre Ubertus sono molto grandi, Francine. Penso che un’intera vita non sarebbe sufficiente per riuscire a scoprire ogni cosa! Il potere raggiunto dal monaco è gigantesco, ma non sono attirato da questa Forza poiché ho rispetto della magia. Già molti anni or sono, grazie ad un maestro sufi, ho potuto apprendere talune cose che mi hanno permesso di accrescere il mio sapere. Con Jalâl Al-Dîn Rûmi ho navigato nei sogni portando la mia consapevolezza a vibrare in sintonia con l’Energia che Tutto avvolge. Ciò mi ha permesso di optare per le scelte che ho fatte, divenire un Templare, ma molto altro ancora. Nel laboratorio di Padre Ubertus ho visto degli strumenti di alchimista, un’arte oscura che non è approvata dalla Chiesa! Non vorrei che tuo marito vi fosse coinvolto e che magari proprio questa sia stata la vera ragione del suo imprigionamento. Chi altro è a conoscenza dell’esistenza di questo passaggio? –
La donna si portò le mani alla gola, in un gesto disperato, come se ad un tratto le mancasse l’aria. Dopo una breve pausa rispose: – All’infuori di mio marito, nessun altro è a conoscenza di questo luogo -.
Ma il Cavaliere continuò con voce incalzante e tono severo: – Qualcuno della servitù? Nessuno ha mai potuto accedervi, senza che tu potessi accorgertene? Francine, pensaci bene, anch’io sono riuscito ad entrare… e tu non lo hai saputo. Ho un presentimento, penso sia saggio portare tutte le cose che appartenevano a Padre Ubertus nelle gallerie. Il monaco mi ha parlato di altre cripte che sono state richiuse da tuo marito. Non dobbiamo lasciare questi oggetti qui, voglio evitarvi ulteriori problemi. Sono tempi oscuri, e per i profani l’alchimia è qualcosa collegata con il Demonio. Credimi, dobbiamo subito portare altrove queste cose -.
Così dicendo, Clément entrò nel piccolo locale; la luce del lume ora si rifletteva sul piano del gran tavolo perfettamente ripulito. La vecchia tela, che lo aveva ricoperto, era stata ripiegata e posata in un angolo. Non v’era più nessuna traccia dei grossi manoscritti, dei calamai, delle pergamene. Nessuna traccia neppure dell’alambicco e dei contenitori di vetro.
– Per mille spade, Francine. È tutto sparito! – Anche la donna non poté contenere un grido di meraviglia. – Oh mon Dieu! Chi è stato? –
Clément respirò a fondo, poi trascinò con sè la donna nello stretto corridoio e di seguito nella cripta. Davanti al dipinto che riprendeva il viso del Cristo, Clément s’inginocchiò portando il suo viso prostrato fino a terra. Rimase in quella posizione per qualche minuto, pensando, cercando con la sua mente di trovare il bandolo della matassa che si faceva sempre più ingarbugliata. Pregava il suo Dio, al quale aveva votato la sua stessa vita, di aiutarlo a risolvere l’enigma.
La sua mente elaborava possibili scenari: poteva essere stato lo stesso Padre Ubertus? Ma egli aveva affermato che poteva apparire nel piano metafisico solo durante il plenilunio o il novilunio. Forse era stato il drago che sembrava voler posare ovunque le sue enormi membrane alari ed i suoi possenti arti muniti di terribili unghie acuminate? E chi altro? Etienne certamente si poteva escluderlo, era all’oscuro dell’esistenza delle cripte. Poi a Clément ritornarono alla memoria gli strani rumori che aveva udito una notte, quando si trovava lì sotto da solo.
Qualcuno aveva deposto dell’incenso vicino al piccolo altare, ma non era sicuro che l’incenso vi fosse già stato prima. Un senso d’impotenza lo colse di sorpresa; lui che era convinto di trovare una risposta ad ogni quesito, una soluzione ad ogni problema. Cercò di richiamare a sé le forze arcane, ma non era nel sogno e non era solo.
Poi il suo sguardo si soffermò sulla polvere che copriva il pavimento della cripta, un pulviscolo leggero di calce, disegnante un arco che dalla parete si allungava a 45° verso il centro del locale.

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