Respiri lungo il Mincio

Il sole è tramontato, lasciando tracce cremisi sulle calde pietre degli antichi palazzi, oltre le torri di una città che ancora freme d’attività concitate.
L’aria s’è fatta frizzante in quest’autunno che ormai bussa alle porte della Vita, con noi, spettatori a volte fin troppo silenti, affrettati a timorosi passi verso un futuro colmo di interrogativi e paure.
-Mi dolgono i piedi…-
Esprimo il fastidio ad alta voce, anche se forse avrei preferito occultarlo, sentendomi imbarazzata davanti a questo ripetersi, volta dopo volta, dello stesso episodio. E lui, il mio accompagnatore, sorride divertito.
-Ti prenderei in braccio, ma penso non arriveremmo lontano!-
Gli sorrido di rimando, i nostri occhi si parlano, senza bisogno d’aggiungere altro. Gli sguardi come d’intesa: intreccio di strane emozioni che sempre, anche se trascorsi anni, mi lasciano un languore di tenerezza alla bocca dello stomaco.
Accidenti alla mia cocciutaggine! Continuo a perseverare, non curante dell’esperienza, ostinata a calzare scarpe inadatte pur essendo cosciente che dopo ore ed ore di girovagare, avrebbero finito col stringere troppo.
-Perdonami…-
Il suo braccio mi cinge con forza le spalle.
-Ti conosco, sai. Sarebbe saggio se tu calzassi delle scarpe di ginnastica…-
Il suo bacio mi sfiora i capelli.
-Vuoi prendere un taxi? Ritorniamo all’albergo?-
-Ho un’idea migliore- rispondo ridendo -vieni, seguimi!-
Prendo la sua mano, stringendola lievemente.
Mi sento importante, nel poter decidere con risolutezza, anche se d’impulso mi sento come una bambina che ha rubato i dolcetti dalla scatola di latta della nonna.
Oltre il Castello San Giorgio, attraversiamo il Viale Mincio per raggiungere la riva del lago di Mezzo, un’ansa del fiume abbracciata fra due ponti.
C’è odore di stantio nell’aria: fremo, nella speranza di trovare un posto che ci permetta d’accedere all’acqua. Sono convinta che se vi immergessi per un po’ i piedi, sicuramente avrei potuto alleviare il dolore!
Ci accovacciamo in terra, poco lontano da un cespuglio di canne acquatiche tra le quali si sono rifugiate delle gallinelle d’acqua.
L’uomo prende una pietruzza e, lanciandola verso il lago, la fa rimbalzare sull’acqua più volte.
Mi ricorda l’infanzia, quel gesto così naturale, che mette in ridiscussione la logica della fisica. Socchiudo gli occhi e mi lascio cullare dal brusio del traffico che sempre più si ovatta alle mie percezioni.
Il pensiero corre fino a raggiungere nuovamente la grande Sala dello Zodiaco nel palazzo Ducale, dove la volta stellata immaginata dal pittore Lorenzo Costa, mi aveva fatta sentire come un granello di sabbia nel Deserto della Vita.
Poi, intrigata, avevo osservato il Grande Carro di Diana trainato da cani… vi era forse celato un misterioso significato simbolico?
Anche le costellazioni della Vergine, Leone e Scorpione non per nulla erano i segni della conoscenza in quella città di Mantova!
Immagino Dante… intento a scrutare oltre l’apparenza della visione celeste, e lo vedevo scendere nelle profondità dell’animo umano dove si confondono, ancor oggi, il divino ed il diabolico.
-Dove è il segno tangibile che fende la realtà dal sogno?-
La mia domanda, a bruciapelo, resta come un refolo di vento sospesa nella percezione. Tiro un profondo respiro, prima di continuare con un accento concitato nella voce.
-Qual è la dicotomia che ci permette di scegliere o, meglio detto, ponderare il distacco da ciò che è buono e da ciò che è male? Pensi anche tu che in fondo non vi sono differenze ma che tutto è un coesistere ed un fluire all’infinito?-
Riapro gli occhi. L’uomo ora scruta l’acqua, leggermente increspata dalla brezza serale. Non risponde, resta muto ed il suo silenzio mi scende dentro come una macchia oscura e pericolosa. Ma percepisco ciò che pensa, la sua mente disegna cupi ghirigori che si riflettono nei suoi occhi, in contemplazione.
-“Ogni Venere, di sera, si fa musica nella Sala degli Specchi”: dalla magia di Monteverdi uscì l’opera di Orfeo e Euridice-.
La sua voce è un sussurro, dalla leggera inflessione romantica del suo accento francese, come quella di chi arpeggia ogni nota della Vita come se fosse l’ultima.
Magico, come lui sempre riesce ad ovviare le discussioni, rispondendo con metafore. Ed io comprendo.
Richiudo gli occhi per ritornare nella Sala degli Specchi dove l’argento della lamina che li incornicia brillava di luce conturbante, come pure inquietanti erano gli affreschi delle lunette e della volta che ritraevano immagini della mitologia classica.
È per me impossibile immaginare un concerto d’archi, in quel luogo: avrebbe trasportato chiunque alla follia!
Dopo una ventina di minuti passati coi piedi a mollo nell’acqua che pigramente fluisce, mi  decido a ritornare sui nostri passi; c’è ancora così tanto da vedere.
-Che ne dici se torniamo in albergo, ci prendiamo una doccia e poi cerchiamo una trattoria romantica?-
L’uomo sorride maliziosamente facendomi l’occhiolino, prima di rispondere:
-Allora non dovrò più portarti in braccio? Ma che peccato…-
Per tutta risposta sbuffo. Le sue parole sono come piume, frullano nella mia mente solleticando rimembranze arcane. E queste mie ali, tarpate dal quotidiano, svolazzano nell’etere fragile dei miei sogni d’infanzia…
Accidenti al suo senso dell’umorismo! E lui si diverte pure. Mentre cerco di mantenere il contegno di sempre nel scegliere bene dove poggiare i piedi, tutto per evitare di aggravare la situazione che già aveva iniziato ad irritarmi.
-Sei ancora più desiderabile quando metti il broncio, ma non ti accorgi che ti prendo solo un po’ in giro?-
Il suo braccio mi trattiene, per poi aiutarmi a risalire oltre un muretto e riguadagnare la parte alta della riva. Gli regalo un bacio sulla guancia.
-Accidenti a te, ma già lo sai che sono parecchio suscettibile, specialmente quando mi si coglie in flagrante. Ogni volta che te ed io ci mettiamo a gironzolare alla scoperta del Mondo, ecco che rovino la festa perché ho i piedi molto sensibili. Dai, promesso che domani calzerò scarpe comode!-
Lui mi solletica dietro la nuca e poi mi prende con forza tra le braccia, la sua fragranza mi riempie la mente facendomi dimenticare ogni arrabbiatura.
Cerco di indovinare i suoi pensieri, e la mia sensibilità mi guida a penetrare quei meandri oscuri che l’Umano a volte tenta, invano, di nascondere pure a se stesso.
-Forse il destino parla un idioma che non sempre comprendiamo…. Non credi che il fato abbia fatto incrociale le nostre vie? Probabilmente ciò non è  la prima volta che accade, ho l’impressione di conoscerti da sempre!-
Ora sono le sue parole a cullarsi dolcemente nell’aria come colorate foglie d’autunno. In me scende un velo di tristezza che accarezza il desiderio di spegnere l’arsura del cuore col pianto. Sant’Iddio ma perché siamo qui, insieme, eppure così lontani nei nostri mondi interiori poiché non possiamo piegarci alla realtà che ci divide?
-A volte ho l’impressione che sia davvero solo un sogno, ed ho così tanta paura che se mi risveglio, tu non sarai più qui accanto a me… coi tuoi piedi dolenti, con la tua esile presenza che è per me come un balsamo-.
Allungo entrambe le mani per prendere le sue: sono fredde e le sento tra le mie così minute. Lo tiro con dolcezza verso di me provando a non allontanare il mio sguardo, ma cercando di tenerlo sempre fisso nel nero dei suoi occhi.
-Conosci la storia di queste pietre?-
La sua domanda mi coglie di sorpresa, in fondo sapevo così poco di questa città che non avevo visitato prima d’allora.
-Troppo poco: quello che ho letto nella guida turistica, ciò che ricordo da altre storie narrate… ma sono informazioni sterili che ti riportano unicamente i fatti storici. Perché mi poni questa domanda?-
L’uomo mi osserva incuriosito, tenui ragnatele si disegnano ai lati dei suoi occhi.
-Ti facevo più curiosa, considerando la tua “natura”. Eppure ogni singola pietra, ha la sua storia. Immagina i secoli trascorsi, pensa alle origini e alle ragioni che hanno portato la gente a trasferirsi in questo luogo. Ma come appariva due millenni or sono? Quel fiume che scorre placido portando le sue acque ai tre laghi… Erano queste terre di coltivazioni? O la gente viveva attorno alle sue rive? Hai letto che nel dodicesimo secolo la città di Mantova era un’isola? Il quarto lago era stato prosciugato poiché nel tempo i laghi erano diventati delle paludi malsane…-
Poso la mia bocca sulla sua, basta così. Per oggi la storia ed i suoi enigmi dovevano attendere l’indomani.
-La notte è giovane, e tra quelle pietre c’è il nostro sogno… Lasciati rapire, ancora una volta, non te ne pentirai!-
Oltre le guglie del Castello, in quelle stanze ormai oscure, si aggirano i nostri pensieri dimenticati al fato. Forse stanno giocando a nascondino tra i passaggi segreti e nelle grotte sotterranee dove sarebbe stato una delizia riviverne le cerimonie antiche.
Una bizzarria che confonde le idee, mentre dentro, nel più profondo dell’animo, la certezza d’esistere si crea strada tra le illusioni. E noi, mano nella mano, ci avviamo lungo l’antico selciato nella convinzione che c’è ancora così tanto da scoprire!

© Claudine Giovannoni

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