United Arab Emirates: Dubai

Potrei portare un paragone estremo, che ho già vito e seguito nella sua evoluzione, ad esempio negli Emirati Arabi e la città di Dubai.
Anni or sono, mi piaceva andare in rotazione negli UAE. Si volava su Dubai e si ripartiva da Abu Dhabi, dopo aver passato 3 o 4 notti nel Hotel Jebel Ali; la spiaggia era deserta e si poteva cavalcare per chilometri senza trovare anima viva. I turisti erano pochi, principalmente uomini d’affari o qualche insider che cercava di sfuggire il freddo dell’inverno europeo.
Visitavo volentieri i suq di entrambe le città, sempre alla ricerca di emozioni olfattive tipicamente orientali, dai profumi personalizzati alle resine quali l’incenso o la mirra o ancora le varie essenze di fiori. Lì trovavo anche spezie di ogni sorta, che sanno donare al cibo quelle sfumature sensoriali così gustose.
Ho rivisto Dubai dopo due decenni e sono rimasta basita.
Il deserto è diventato verde d’era e piante, la città si è estesa a macchia d’olio, la costa del Golfo Arabico è stata artificialmente rimodellata dalla fantasia schizofrenica di architetti famosi che hanno intrapreso una sorta di competizione a chi costruisce in modo più appariscente. È una guerra tra titani del XXI secolo che utilizzano ferro e vetro per sfregiare il paesaggio in modo drastico e inaccettabile.
Non ci sono più le dune desertiche coi cespugli spinosi solitari trascinai dai venti carichi di sabbia.
Questo il prezzo dello sviluppo, dell’agiatezza, a discapito delle tradizioni culturali che, nel caso in questione, vedeva questo popolo nomade vivere in tende e accudire alle carovane per il trasporto di merci varie a dorso di dromedari.
Le belle immagini d’archivio, che ora ci fanno sorridere per ricercare certi paesaggi dai film hollywoodiani quali “Laurence d’Arabia” o “Il Principe di Persia”.
Ma questo è il prezzo dell’evoluzione umana: sempre a discapito della natura e delle sue risorse.

 

 

 

 

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